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dialogando sul diabete il blog di Ennio Scaldaferri

A Latronico si scrive, il libro di Egidio, fra perseveranza e qualche incongruenza. Un commento

Posted on | ottobre 27, 2012 | 5 Comments

Egidio Falabella scrittore, commento al suo libro: la fede a piedi nudiIl libro di Egidio[1] ci descrive la vita di un piccolo artigiano, di umili origini, come egli stesso si definisce, animato da un fede incrollabile: e, mentre dall’altra parte, assistiamo al conflitto fra fazioni politiche, sterile, che Albino, debbo dire con grande coraggio, assumendosi responsabilità ed esponendosi a critiche, ha tratteggiato, qui vediamo la lotta contro i debiti, la burocrazia, il silenzio della politica, tesa a se stessa, che non dà una mano a persone valenti e industriose che, partendo soltanto dalla loro professionalità e dalla loro capacità, ostinatamente vogliono affermarsi senza ricorrere a compromessi.

Nel testo di Egidio troviamo alcuni punti chiave, punti di riflessione che così sono spinto a commentare.

  1. Intanto una scrittura piana e semplice, senza fronzoli, che sembra un racconto. E’ come se fossimo in piazza a chiacchierare fra amici – a Latronico diremmo “ ‘nda codda “ – ed uno del gruppo si rievoca, passando da un ricordo ad un altro, quasi un “…ti ricordi quella volta che andammo a fare gli esami a Lagonegro…. “ o quando “… aggiustammo quella macchina che non ne voleva sapere di andare e poi il mastro…” e così via ricostruendo una vita.
  2. Egidio descrive le grandi difficoltà che ha attraversato nella infanzia e nell’adolescenza, in realtà trascinando molti di noi suoi coetanei in reminiscenze non sempre serene per situazioni consimili che vivevamo in quell’epoca: gli esami di ammissione alla scuola media erano un trauma e credo che tutti li rammentiamo con grande peso, poiché si trattava di andare in un altro paese, impresa allora, e affrontare situazioni di disagio e un confronto con “professori” del tutto al di fuori della esperienza di ciascuno. Le difficoltà erano di tutti, dicevo e le scarpe bucate erano di molti: io avevo la fortuna che mio nonno Nicola (Nicola ‘u Pilatu) era un artigiano tutto fare tal che riparare una suola con segni di cedimento era per lui un giochetto: oggi questi “artigiani” li chiamano “Makers”, ovvero gli artigiani che costruiscono il futuro, persone particolarmente dotate che negli USA sono molto ricercate, quasi esportate. Benché ora siano “artigiani digitali” noi ci dimentichiamo che queste professionalità le avevamo, solo che le abbiamo dismesse realizzando così una delle maggiori perdite che il Meridione abbia mai subito. Egidio era uno di questi ed ha avuto la capacità, la testardaggine di non andar via.
  3. Sono riflessioni che la lettura mi stimola. Ma l’infanzia di Egidio si differenzia nondimeno da quella della maggior parte di noi più o meno suoi coetanei: Egli non parla mai di gioco fra ragazzi. Pare che questa fase della vita gli manchi del tutto; nel tempo libero dalla scuola è addetto a piccoli lavori di supporto alla famiglia e se ci immaginiamo tale situazione non possiamo non coglierne il peso.
  4. Sarà tutto questo a indurgli la voglia di conoscenza che lo porta poi a continuare le scuole fra non poche difficoltà? Peraltro presto comprendendo che sì, vero è che potrebbe lavorare come apprendista dopo un solo anno di scuola, ma no, la scuola va terminata, il ciclo scolastico va concluso, magari contemporaneamente lavorando per pagarsi la pigione. E’ straordinario questo aspetto se pensiamo agli abbandoni della scuola cui oggi assistiamo da parte di ragazzi che invece non colgono questa necessità.
  5. Mi chiedo da dove venisse ad Egidio questa capacità di intuizione, questa specie di guida interna che lo conduce quasi per mano anche quando più in là avvierà la sua officina e che si associa ad un altro aspetto non comune: il racconto di Egidio è una specie di via Crucis, ma egli vede intorno a sé solo amore e persone disposte ad aiutarlo e che lo sospingono: la risposta per lui è semplice ed ha un nome. NON è questione di capacità o di ottimismo, ma di fede. Questa è la guida. E’ un limite o un aspetto ammirevole del testo di Egidio questa fede, forse un po’ troppo esibita, che è di volta in volta “mano di Dio”, “devozione” “andare a piedi nudi alla processione del santo patrono”? Non voglio commentare oltre questo aspetto troppo lontano dal mio pensiero: però non lo guardo certo sorridendo con distacco, quanto piuttosto intenerendomi e ipotizzando – sperando – che forse il concetto di fede di Egidio sia un po’ più complesso – meno strettamente religioso – di quello che ha espresso attraverso semplici atti di venerazione. Ma certo va detto che pesa sul lettore che non dovesse condividere tutto il suo percorso di fede un fatale senso di lontananza, di inevitabile esclusione: “…Perché per noi che crediamo in Dio non possiamo dare inizio a… senza… ecc.” si legge, e questo “obbligo” o “intima necessità” si traduce poi ancora in una manifestazione di esteriorità. Ed è sottinteso che voialtri invece non ne fate parte, siete esclusi e diversi, per l’appunto miscredenti. Non è tempo invece di fertili contaminazioni tra diversi, magari animati da sentimenti di carità, pur nel probabile differente modo di intendere questa?
  6. In realtà Egidio ha un punto iniziale di sostanziale solidità che forse sottovaluta: la fiducia totale che i genitori hanno in lui, molla potente che lo spinge a superare ogni difficoltà per non di non deluderli; se associamo questo stimolante sentire alla innata curiosità e voglia di conoscenza ci spieghiamo come abbia potuto compiere un così difficile percorso. Fede? Un laico non giudica, non esclude.
  7. Ed infine: la fatica per la qualità, in un paese immobile e che si difende da ogni iniziativa produttiva quasi temendola o invidiandola o godendo se fallisce: è un tratto particolare di Latronico che andrebbe analizzato più compiutamente. Al Paese del “qui non si può fare…” Egidio dimostra che invece “si può fare..”, anzi insegna come. Lo trovo straordinario.
  8. Con sapienza mette su una azienda, fra mille dubbi e notti in bianco a far conti. Un’azienda che addirittura progetta e costruisce macchine: è incredibile che sia potuto succedere qui da noi. Poi, senza alcun insegnamento o preparazione specifica, egli mostra da subito di intendersi delle logiche di mercato: “… apriamo un’officina? Si, ma di che tipo? Dobbiamo coprire uno spazio vuoto… allora deve essere elettromeccanica… ma abbiamo le competenze e c’è n’è sicuro bisogno e quindi richiesta? E l’orario di apertura? Presto al mattino… Ma gli altri aprono tardi. Vero, ma non è per concorrenza, è che dobbiamo rispondere alle esigenze degli eventuali clienti e questi hanno bisogno presto…”.  E progetta passo passo, cosa che da noi, al SUD, è autentica novità, non ancora compresa. Basta vedere i cosiddetti programmi delle Amministrazioni locali, non uno studio di territorio nel suo insieme – nel nostro caso della Valle del Sinni – ma solo osservazioni strettamente locali, non un chiedersi e un analizzare le risorse che comunque ci sono, il come utilizzarle. Persino libri di arte, di cultura e  di storia danno indicazione in questo senso, nel momento in cui analizzano le risorse archeologiche, ma niente..!
  9. Poi si imbatte pesantemente nella burocrazia dei finanziamenti: Leggiamo: “… La situazione poco chiara quale era in partenza diventò completamente oscura con il passare del tempo. Oggi alla luce dei fatti accaduti mi viene da pensare che molto giocarono in quella occasione le amicizie clientelari. Resici conto di tutte le manovre che si nascondevano dietro le accettazioni e rifiuti di domande lecite decidemmo di rinunciare ai finanziamenti e …” e restituiscono l’anticipo.

10. A scherzarci un poco, ma è un riso amaro, vien da dire che Albino non aveva ancora scritto i suoi libri, o Egidio non li aveva letti…!

11.  Così egli scopre che i finanziamenti seguono strane logiche che tenta di descrivere e contro le quali lotta intensamente. Ne ricava delusione, avvilimento, è sul punto di impantanarsi e cade anche in qualche contraddizione: forse questa è la parte un po’ oscura del libro, perché Egidio dice e non dice, ha fiducia nelle istituzione, da buon cittadino, ma ne è deluso: è grande amico di alcuni politici che nella zona, più che governare, regnano. Forse bastava farsi spiegare da loro o forse in realtà non era neanche necessario per uno che ha capito sagacemente i meccanismi di mercato.

Per questa serie di incertezze è anche meno bella la parata di politici e di religiosi di professione che sfilano alle varie inaugurazioni fatte al miglioramento dell’officina; perché siano lì in fila a farsi fotografare è del tutto evidente, perché Egidio li inviti è poco comprensibile: egli ha addirittura restituito alcuni finanziamenti allorché si è accorto delle tortuosità da seguire per ottenerli, dimostrando di non aver bisogno di protettori, cosa davvero straordinaria: che bisogno c’era allora di avere costoro ai suoi piedi ai festeggiamenti? Poiché tutto il libro è un percorso di fede mi sarei aspettato piuttosto che avesse cacciato i sacerdoti dal tempio. Mi sarei aspettato che, anziché l’inguaribile notabilato meridionale, avesse invitato, senza selezione i con-cittadini, i compaesani, che avesse semplicemente preparato per loro, nell’aia antistante l’officina, una festosa… “sckanata di pane” e del nostro buon salame e avesse festeggiato le conquiste condividendo. Peccato.

Altri aspetti ci sarebbero da commentare: il suo senso della famiglia, il rispetto degli operai dipendenti, la sua generosità e alcune illusioni che si porta dietro come un fanciullo speranzoso senza che questo ne limiti minimamente la personalità o debba far pensare a adolescenziali vagheggiamenti, perché il senso della realtà è sempre nitido tanto da essere talvolta un peso opprimente.

Autobiografia dunque, perché il libro resta una importante lezione di vita….

Leggiamoli, dico ai miei Compaesani in special modo, questi libri, prima quello di Albino e poi quello di Egidio: personalmente ne ho ricavato una irritazione profonda talvolta, rabbia per certi versi, emozioni per altri e un invito alla riflessione e alla riconsiderazione di certi valori.

Ad entrambi gli autori va un grazie per la loro fatica


[1] Egidio Falabella. “La fede a piedi nudi – Zaccara ed. 2010

A Latronico si scrive: il libro di Albino, fra denunce e qualche contraddizione. Commento

Posted on | ottobre 25, 2012 | 5 Comments

Latronico, Albino Rossi scrive: "il mio lungo cammino"Albino in 3 volumi ed in particolare con l’ultimo[i], cui più direttamente mi riferisco, ha raccontato la sua storia, dall’infanzia, l’età dei giochi così come si svolgevano in un piccolo paese, e via via il viaggio verso l’età adulta e della responsabilità, citando luoghi, fatti, modi di vivere che a molti di noi lettori non più giovani evocano ricordi e suggestioni coinvolgenti. Racconta della sua famiglia, per molti tratti diversa dallo standard di un paese, ma forse anche di territori più ampi e con offerte di più ricche occasioni di scambi. Una famiglia laica, socialista, di colti artigiani del legno che offrì ad Albino opportunità di riflessioni che certo pochi altri a Latronico allora ebbero.

Le abitazioni nella campagna di Latronico, piccole fattorie funzionali, sostituite da insignificanti cubotti, tutti uguali, frutto di una campagna di investimenti. Nella foto 2 e 3 sono visibili i resti delle coltivazioni.

Ma in realtà Albino – così io la vedo – oltre a descrivere le proprie vicissitudini rappresenta la storia del Partito Socialista in Lucania a partire dagli anni ‘50-‘60 circa: e non dico a caso “rappresenta”, perché di fatto il lettore, se osservatore esterno e lontano dagli intrecci locali, è posto di fronte ad un palcoscenico su cui recitano personaggi politici che, a quell’osservatore, risultano effimeri e improduttivi ai fini di una seria ricerca di vie praticabili di sviluppo del territorio e di percorsi possibili cui le sue popolazioni potrebbero essere avviate: un palcoscenico politico, insomma, per anni tenuto dalle stesse figure che governano, si fa per dire, in serrata lotta fra di loro.

Viene da chiedere: lotta, disaccordi su percorsi politici? Sulla scelta di programmi? Su una diversa concezione del futuro, del modello di sviluppo della Lucania? Recita di contrasti sani, auspicabili, creativi, dunque? Ahimè, no, lo spettatore attende invano e ben presto è deluso, perché in realtà si trova di fronte a due schieramenti tenacemente opposti ed in mezzo una clinica privata – motivo del contendere, altro che i progetti - portatrice di interessi vari per cui ad un gruppo politico essa conviene ad un altro… ovviamente no.

Ed è tutto quanto c’è da capire: per quel poco che di politica io capisco.

Ma forse anche per quello che Albino, spesso con grande sofferenza, cerca di comunicare, se è vero che sono ricorrenti frasi come. “…braccio di ferro; guerra senza confini e senza esclusione di colpi; tenere le mani nella pasta del governo regionale, il partito era diventato più che un contenitore di idee comuni il luogo di scontro di tattiche e di interessi variegati; ricerca di approdi di fortuna; questa babele in cui nessuno sa quello che è e quello che vuole…” e via di seguito.

Attenzione , però, non siamo di fronte ad un sentito dire, ma ad un testimone diretto degli avvenimenti che peraltro talvolta ha determinato; come dire, notizie di prima mano: il che dà a quanto egli scrive un valore davvero particolare; anche per questo il libro mi colpisce.

Albino compie un errore di valutazione, quando elogia le caratteristiche della Clinica giustificandone la presenza: lo scuso, fa un ragionamento non medico, ovvio, e non conosce i criteri di valutazione della Sanità[ii]. Ma avrebbe fatto meglio a tacere. Ciò comunque è di secondaria importanza oggi.

Quale vantaggio ne possa essere derivato, dalle infinite battaglie e favoritismi, alla popolazione non è dato sapere.

O meglio, è dato sapere eccome. Basta leggere il libro di Egidio, la cui vita corre in parallelo con quella di Albino benché su un altro piano, che dà prova delle enormi difficoltà per un artigiano di affermarsi, mentre al di sopra di lui i politici si squartano per l’affermazione personale o di interessi collegati. Oppure se guardiamo la fuga emigratoria degli anni ‘60-‘70 e successivi che svuotò i nostri paesi di persone e di alte professionalità artigianali, svendita di un capitale enorme e conseguente impoverimento su tutti i piani.

Latronico, un Viadotto Brutto Inutile e Costoso: Così definimmo tanti anni, nelle manifestazioni avverse alla costruzione, il viadotto di accesso al paese che immette direttamente nel centro tutto il traffico, soffocandolo. A mò di festone occludente si impone sul profilo di Latronico da ovest. Chi si affaccia verso la valle del Sinni ha lo sguardo rotto dal manufatto. A distanza di anni ancor più lo considero invadente e senza pregi. Ennio Scaldaferri (foto E. Scaldaferri e A. Bruno)Avverto, intimamente avverto, che questo sia una della maggiori colpe dei nostri dirigenti politici: l’avere una enorme ricchezza, averla svenduta, senza capirlo, senza accorgersene, senza averne sentore, accidenti a loro ! Ci vorranno generazioni per recuperarla, se mai si riuscirà, e nel testo il nostro Autore lo recita a chiare lettere: “…dotare… il territorio delle opere necessarie per mantenere in loco gli insediamenti dei nuclei rurali… e tenere i cittadini radicati nel loro naturale contesto socio-ambientali… evitando alle persone di scappare e di preferire le soffitte di Torino o le baracche di Milano… Purtroppo la stagione di costruzione di opere di civiltà e di infrastrutture è venuta tardi… a territori già abbandonati”. Che in termini semplici semplici semplici significa incapacità di programmare da parte della classe politica-dirigenziale, quella che litigava.

Ma intanto qua e là definiamo Garibaldi un bandito, intanto corrono rappresentazioni, discussioni e cenni neo-borbonici che spingono sottilmente a pensare che i guai del Sud vengono tutti dalla unificazione – leggi conquista del Nord – finendo così con il giustificare alcune nostre caratteristiche negative e una classe politica dirigente ignava: attenzione, VOTATA e quindi SCELTA. E benedetta anche, se vado con la mente alle processioni del Santo Patrono cui negli anni e per anni ho assistito: eccoli lì, sempre lì, a ondate generazionali, schierati, silenziosi e… devoti. Ma inetti. In questa trappola giustificatoria cade anche Albino, ed è strano dal momento che quel che narra l’ha vissuto.

La lettura, e la rilettura, di questo testo non è stata per me né semplice né scontata. Mi ha suscitato momenti piacevoli nel ricordo di fatti trascorsi insieme, vissuti e rievocati con vera emozione: come posso sottacere fra l’altro che Albino mi definisce il suo fraterno amico? Ma anche indotto momenti di malessere allorché lo vedo impigliato in situazioni che i diversi percorsi di vita che abbiamo poi compiuto, io lontano all’università e poi per lavoro, con esperienze molto coinvolgenti e distanti da quelle che si vivevano in Lucania, mi rendono incomprensibili.

Il mio fraterno amico è colui che mandò al diavolo l’imprenditore, giudicato ladro, che pure gli aveva assicurato il suo primo lavoro, preferendo il licenziamento e il restare poi a lungo in grande difficoltà lavorativa, piuttosto che accordarsi, come dire spartire. Guardandoci intorno oggi, vien da piangere.

Ma com’è poi che da Sindaco laico, lui, educato in una famiglia rigorosamente socialista sui principi della rivoluzione francese, “fa orecchio da mercante” ed appoggia e sovvenziona – spero non indebitamente – una istituzione clericale senza far nulla, probabilmente, per la realizzazione di una struttura pubblica educatrice, della cui mancanza egli stesso dice di aver sofferto da piccolo, e quindi ancor più consapevole della sua importanza?

E com’è che definisce miscredenti coloro che non la pensano secondo le sue acquisizioni cattoliche, lui che da piccolo “… trascorse belle serate con socialisti pensanti, disposti a semicerchio davanti al focolare, così nutrendosi di idee socialiste e di convinzioni per lo più estranee alla chiesa cattolica…”? Peraltro scambiando per insensibilità verso la religione quello che più probabilmente era un portato laico alla comprensione del mondo circostante di uomini che credevano alla libertà nell’uguaglianza, piuttosto che alla libertà senza uguaglianza.

E perché non ha fatto di più in difesa di quel MS che definisce “… prototipo del socialista vero, leale all’inverosimile, navigatore onesto in un mare popolato da trasformisti, affaristi, privi di morale… Ma quasi sempre primo dei non eletti?...”. Che amarezza leggere questo capitolo!

E com’è che si fa dire, essendo Sindaco, “… sei soltanto una brava persona…”, come dire un onesto povero cristo, da un avvocato di incerte esperienze che del tutto evidentemente avrebbe gradito favori non ottenuti e non fugge da lui –anzi non lo scaccia – e dai suoi sodali politici?

Latronico—La storia della chiesa di San Nicola (XII°-XIII° sec.) dagli anni’ 30 ad oggi. Costruzione in pietra, a navata unica con torre campanaria quadrata e presbiterio  su un piano rialzato, soffitto a cassettoni.  Sovrasta la piazza da cui in passato era visibile (foto 1 e 2, anni ’30 e ’40, vedi freccia). Viene ristrutturata negli anni ‘70-’80 con conservazione delle linee. Le foto 3 e 4 ne mostrano la struttura. Successivamente subisce una ristrutturazione non conservativa, occlusa sul davanti da costruzioni, scompare alla vista. Ennio ScaldaferriContraddizioni che io noto. Insisto, però, sono solo mie impressioni, che nulla tolgono a un testo in cui con coraggio e credo esposizione personale si raccontano i mali della nostra società.

Ma nel libro di Albino vi è davvero tanto altro. Vi troviamo la descrizione del graduale declino del partito socialista, annotazioni sul craxismo, il lusso sfrenato di uno degli ultimo congressi cui egli assiste allibito, e poi l’ascesa dei progressisti e il ritorno delle  “spartonze”, il berlusconismo.

Né va sottovalutata la descrizione della Cassa per il Mezzogiorno e di quello che hanno rappresentato varie classi di professionisti nel campo delle costruzioni ai fini di uno sviluppo sostenibile del Paese, del Mezzogiorno. Egli qui è impietoso, come chi sa e forse ha dovuto subire.

Leggiamolo, allorché parla dell’edilizia a Latronico: “… ci scoprimmo tutti urbanisti ispirati, mentre il migliore di noi in quell’occasione avrebbe meritato di essere preso a calci nel sedere e cacciato dai contesti in cui sui si discuteva della materia… negavamo la conservazione dei centri storici che vedevamo solo come contesti urbani depositari di miseria…. Non vi era in noi conoscenza della materia urbanistica e nessuno vedeva lontano… Fummo miopi e forse anche interessati, perché riuscivamo a vedere solo l’esigenza di aggirare la legge per consentire una edilizia quasi spontanea e i conseguenti ricavi professionali nella progettazione di tanti obbrobri…. Arrivammo ad elevare l’ignoranza a fattore ideologico…!”.

Questo passo mi addolora profondamente e credo che doloroso lo sia per tutti coloro che come me vivono lontano dal Paese, ma periodicamente tornano, instancabilmente: e si trovano di fronte quegli obbrobri, conseguenza imperdonabile di interessi e di ignoranza. Siamo negli anni ’70 e uno dei frutti di quel connubio è ad esempio il raccordo stradale che opprime e chiude il lato ovest del paese. Ricordo anche alcune manifestazioni fatte contro tale costruzione in quegli anni. Ma ad uno sguardo attento sono tanti gli stravolgimenti che hanno guastato il profilo dignitoso e lineare, anche povero se vogliamo, delle nostre strade. Perché quando hai una situazione ambientale piccola e fragile, un tessuto delicato, costruire è ancora più difficile. Bisogna essere ancora più attenti e colti. Ero in fondo a via Roma, tempo fa, fa con G: guardavamo il profilo delle piccole case, a 2 piani, le terrazze con belle ringhiere, lavoro dei nostri “furgiari” (fabbri), disposte in due ordini – una lunga al primo piano e due invece al secondo piano – che nel loro insieme danno ritmo alla strada e costituiscono un esempio architettonico gradevole.

Testo alternativo Chiesa di san Nicola – Latronico: Negli ’70 – ’80 è sottoposta ad una ristrutturazione tutto sommato conservativa. La foto 1, a sinistra, lo dimostra.. E’ un particolare tratto da una vecchia cartolina. Notate la differenza dei lampioni rispetto alla foto precedente Nella foto a destra la chiesa come appare ora. Intonacata, la struttura in pietra è scomparsa, il campanile ha una cuspide (vedi precedenti foto) dalla piazza purtroppo è solo parzialmente visibile come dimostra la foto che ho scattato dalla collina della”Difisedda”. Ennio Scaldaferri E poi le rotture. Irriguardose, prepotenti, tanto più prepotenti perché sovrastano il contesto modesto che hanno intorno. E che dire di quella sopraelevazione che occlude allo sguardo la chiesa di San Nicola, del XII-XIII sec. e la ristrutturazione della stessa? E io ci metto anche la eliminazione della Curva a Piama chi se ne ricorda oramai? – che difendeva la Piazza dall’aggressione della automobili, riversate invece ora direttamente in centro dal raccordo stradale: avevamo il senso antico della agorà – basta vedere vecchie foto – ma ci è sembrato preferibile un parcheggio, al contrario di quel che succede in tanti altri borghi in Italia.

E’ quanto ci dice Albino. E’ quanto i professionisti hanno fatto. Chi ama il paese non può non accorgersene e affliggersi. La lettura del libro di Albino è di fatto sofferenza, per le riflessioni che induce, come d’altra parte lo è per altri versi quello di Egidio.

Nell’ultimo capitolo accompagniamo l’Autore lungo il percorso della sua conversione: va letto così com’è, astenendosi da critiche, perché questo è territorio privato: cosa egli pensi, ad esempio, della “Divina Provvidenzaè personalissima convinzione verso la quale non si ha diritto di commento: nondimeno questo sì che si può dire, ed è la sensazione, ben avvertita, che in alcune sue frasi vi sia se non la condanna, quanto meno la disapprovazione per chi invece è lontano dal suo concetto di divina provvidenza; quasi a proferire: “… quegli avvenimenti parlano chiaro, è evidente, è Divina Provvidenza, è Grazia del Signore, come fai a non capire che non c’è altra spiegazione?…”. Hai allora la percezione di una diversità che limita il colloquio e lo scambio. Barriere, insomma. Ma la stessa sensazione ti coglie in altri momenti, quando ad esempio si parla del Perdono: anche Perdono e fede da Torino Spiritualità, colloquio fra E. Bianchi e G. Zagrebelskyqui, potremmo porcene di domande: per l’Autore non c’è dubbio, è esperienza di fede. Ma, ad esempio, non potrebbe avere una valenza sociale?

Quanto a me, io non amo le conversioni; il bisogno di sacralità è insito nell’uomo e non certo appannaggio o proprietà di questa o quella fede, come qua e là traspare. Ho profondo rispetto per le “Religioni”, ma non per la loro esteriorizzazione e per le forme che questa assume, troppo spesso invadente verso chi ha un altro pensiero. D’altronde in questo capitolo troviamo, a conferma, alcune descrizioni di interventi “religiosi” che di religiosità ne avevano quanto ne ha una pietraia. Val la pena leggerle, perché c’è di che restare stupefatti.

Tuttavia la conversione dell’autore è certo fatta di riflessioni e frutto di approfondite e attente letture, dagli atti del Vaticano II alla Pacem in Terra e così via, quindi di faticose acquisizioni e se questa fatica la cogli, vai in fondo al capitolo: “… in politica” egli dice “sono partito incanalato nel socialismo massimalista e sono approdato al socialismo democratico e liberale… In questo periodo di lunga transizione ho sviluppato  in me una formazione cristiana, che era arida, nella parte preminente, della mia famiglia quando io sono nato… La mia dimensione sociale… andava rivestita da uno spirito che amalgamasse in una morale più ampia, senza limiti, così come senza limiti…”.

Si è aridi senza quel rivestimento. E’ il messaggio. Non riesco a condividerlo, anzi vedo la drammatica frattura fra i concetti qui espressi e la vasta cultura laica.

E’ tempo di concludere, benché ci sarebbero altri due capitoli da commentare: ma uno è affatto personale – l’autore descrive il disagio e la sofferenza patiti allorché resta senza lavoro non più giovane – che non si può far altro che leggere in silenzio, stupefatti per quel che gli succede; l’altro è una personale lettura di una sentenza passata in giudicato (credo di aver capito) che io avrei fatto volentieri a meno di leggere.

Dopo il libro di Albino andrebbe letto quello di Egidio. Questi suda sette camice nel tentativo di affermare la sua officina; lo stesso paese, Latronico, due scenari vicini e lontani nello stesso tempo: la fatica quotidiana se non per la sopravvivenza, almeno per una dignitosa affermazione lavorativa da una parte e la descrizione sistematica di una lotta per guadagnare privilegi e vantaggi dall’altra. Ed una schiera di personaggi che girano intorno.

Poi i temi della fede, forse eccessivamente esibita in entrambi i testi ed escludente.

Sembrano 2 mondi distanti mille miglia, ed invece è un solo teatro con 2 palcoscenici vicini.

Solo che l’uno vede l’altro e l’altro non vede l’uno.


[i] Albino Rossi. “il mio lungo cammino: dal socialcomunismo verso l’amore universale” – Creged ed. 2011.

[ii] Per avere una idea di quanto sia complesso valutare una struttura sanitaria, ospedaliera o meno, e quindi esprimere un giudizio sulla sua “qualità”, si può consultare:

Focus – Guida Salute – I migliori ospedali d’Italia – speciale di focus n.237 e o meno, disponibile in linea sul sito di Focus

D. Orlandini, G. de Bigontina, E. Scaldaferri – Manuale di accreditamento delle strutture diabetologiche, 2° ed. – Ed Tierre 1999, disponibile in linea sul sito AMD (esiste una 3° edizione non disponibile in linea)

Raccontando Latronico, il Paese dove si scrive

Posted on | ottobre 20, 2012 | No Comments

Accennai, nel mio precedente articolo scritto durante le vacanze estive trascorse a Latronico, mio paese di origine, che qui vi è più di uno scrittore che ha pubblicato lavori di rilievo e nei campi più vari.

Ma debbo ricordare che vi è anche una esposizione permanente di un nostro artista, purtroppo spentosi prematuramente,

Ass. culturale V. De Luca

Ass. Art/Culturale V. De Luca

ricordato dal sito di una associazione culturale alla cui galleria val la pena di dare una attenta occhiata.

Preannunciai che avrei pubblicato – ma non sono finora riuscito a farlo – un commento di due lavori, opera di persone che conosco molto bene per essere cresciuti nello stesso paese, la cui lettura mi aveva piuttosto intensamente coinvolto per vari motivi:

essi raccontano la loro vita ed il mondo circostante con i problemi più vari; ora, quello che succedeva toccava anche me che pur non vivendo stabilmente a Latronico vi tornavo spesso.

Mi sono chiesto come vedevo quei problemi, se me ne accorgevo e come li consideravo rispetto a come oggi li vedo nel racconto degli autori.

Insomma, che facevo e che pensavo allora mentre quegli eventi si succedevano?

Le riflessioni che ne sono scaturite sono state per me complesse e mi hanno impegnato molto nella stesura dei commenti che mi ero ripromesso di pubblicare; è questo il motivo del ritardo e per cui non ho scritto neanche di medicina.

Non potevo difatti limitarmi al solito commento elogiativo. La verità è che molti aspetti mi allontanano dal pensiero degli Autori i quali peraltro portano importanti testimonianze delle immense problematiche del paese nel periodo di riferimento.

Nell’assoluto rispetto di queste due persone che stimo, cui sono profondamente affezionato, ho cercato di coniugare la descrizione di ciò che per me è forse eccessivo nei loro scritti, per come la pensavo allora e per quel che con gli anni ho maturato, con quello che di grande interesse essi contengono.

Non è stato semplice; vi ho impiegato tempo, ma spero di esserci riuscito.

Presenterò il mio commento nei prossimi due articoli: sul lavoro di Albino [1], mio compagno di giochi, geometra poi e “politico” nello stesso tempo, e di Egidio [2], appena più giovane, la cui strada non si è mai incrociata con la mia, purtroppo, “aggiustatore meccanico” e poi imprenditore.


[1] Albino Rossi. “il mio lungo cammino: dal socialcomunismo verso l’amore universale” – Creged ed. 2011.

[2] Egidio Falabella. “La fede a piedi nudi” – Zaccara ed. 2010.

Di ritorno a Latronico, in vacanza, il Paese dove si scrive…

Posted on | agosto 1, 2012 | 7 Comments

Ed eccomi di ritorno al mio Paese di origine, a Latronico, il Paese dei gaudenti come ricordai un anno citando il film di Rocco Papaleo. Ma esso di gaudenti proprio non è mai stato, quanto piuttosto di emigrati, di lavoratori e talvolta, purtroppo, di persone in attesa, come spesso lo è il Meridione.

latronico e sullo sfondo il Monte Alpi, ripresi da SudPer me è il luogo delle suggestioni: ricordi, gli affetti più preziosi, le amicizie durevoli, momenti piacevoli trascorsi e naturalmente sofferenze. Un magnifico borgo appoggiato su due colli prospicienti:

1)     a sud il “Castello, hū Castieddŭ” – del quale però nessuno ha ricordi – con il vecchio nucleo e le sue strette viuzze precipita verso scoscesi calanchi, verso la valle del Fiumicello e verso quella del Sinni, boscoso in questo tratto, arido più a valle;

2)     a nord l’altro, prospiciente, “il Monastero, hū Munistériū” – di cui non c’è traccia – che invece si allunga salendo verso la “Fossa del Lupo”, il cui nome dice tutto – una specie di sella d’inverno battuta da tutti i venti – che risale sul ripido Monte Alpi (1900 m): lo chiamiamo “Arpŭ” e “simu iuti a l’Arpŭ è l’essere andati in cima o comunque l’averlo percorso.

Latronico visto da NordSul Monte Alpi si andava per raccogliere legna nella estesa faggeta e nel cerreto, ma anche per escursioni: è il luogo delle mie giovanili arrampicate. Queste allora quasi obbligatoriamente si compievano lungo la dorsale SE delle “Coste le Ghiaie” versante scosceso, ma accessibile senza attrezzatura benché senza sentieri segnati, nelle notti di luna piena per giungere prima alla Punta del Corvo e infine a Santa Croce, giusto all’alba in cima per godere l’impagabile sorgere del sole con il suo riflettersi ben lontano nel mar Ionio:

già siamo nella Magna Grecia, e questa è la terra del Sinni[1], il Siri di Archiloco – Davvero non c’è luogo bello e amabile / e dolce, qual laggiù sul Siris rapido - pare che egli avesse esclamato di fronte a un paesaggio tutto da vivere. Siritide è la zona nel suo complesso.

Del Sinni – “‘a jumara” – una volta temuto, io ne ho in mente la voce che da casa mia si udiva limpidamente quando nelle sere invernali in paurosa piena precipitava verso valle: la sua voce ora si è spenta in una diga a monte per essere zittita del tutto da un’altra a valle: e pensare che era navigabile fino al ‘600-700![2].

Ugualmente è scomparso il chiù” dell’Assiolo che nelle notti estive faceva udire il suo ripetuto richiamo: il chiù è sostituito da un rumoroso viadotto che ingegneri ciechi all’ambiente hanno sistemato a obbrobriosa corona del paese verso ovest (e a loro memoria).

I due colli, Castieddŭ’ o Capada’ùtu, come mi pare i giovani preferiscano, e Munistériū sono uniti dalla Piazza: da noi è la “Codda”: questa non è un semplice luogo del borgo, è il “tutto”: dai un appuntamento ad un amico? Dove? Ovvio, nella Codda (‘nì vidimu ‘nda codda). A che ora? Non esiste, la nozione del tempo è relativa: stasera o “‘nda jurnata” – nel corso della giornata – e ci siamo intesi, tanto dalla codda prima o poi si passa

Il paesaggio, quello che rivedo sempre con le stessa emozione, è davvero impareggiabile, spaziando ad ovest verso le faggete del monte Zaccana e La Spina, a nord, verso l’Alpi, Teduro e i loro boschi, a sud sulla catena del Pollino, a est, verso Il museo della Siritide raccoglie oggetti che provengono dalla valle del Sinni e dell'Agri e ne rispecchaino la storiala “codda dei Greci” (che pare avesse tanto di Greci e tanto di Etruschi) e Ischitelli (isçkitieddi), arido versante d’estate, chiuso a monte dal ponte dei Borboni, ovviamente dirupato.

Un lontano ricordo, lontanissimo anzi: diceva, accorato, un contadino di Ischitelli, da dove passavo durante una camminata: “…se potessimo fare 2 tagli d’erba per la nostra piccola mandria non avremmo bisogno di abbandonare questo luogo, ma ci vogliono bacini per l’acqua piovana…”. Sig. Sindaco di allora, che si possa in qualche modo risolvere il problema? E come no. Fu costruito in istituto scolastico. Anni dopo non c’era più un bambino… Tutto abbandonato, essendo la maggior parte delle persone del villaggio emigrate. E’ il Meridione.

Sono a Latronico, dunque, e sono contento.

Al di là dei luoghi ameni e dei frammenti malinconici della memoria, mi preparo a godere del mio soggiorno.

E vorrei sottolineare un fatto forse insolito: A Latronico si scrivono libri. Già, ci sono numerosi autori; si scrive di filosofia, di storia, di arte. Vi sono anche associazioni culturali molte attive.

Bene, ci sono due testi, scritti uno o due anni fa, che mi sollecitano intensamente: rappresentano proprio due mondi, esemplarmente descrittivi dei guai del Meridione.

Due libri di persone cresciute in ambienti molto diversi, l’una proveniente dal ceto medio degli anni ’40 e ’50 rappresento dagli artigiani – ceto medio in realtà con disponibilità economica minima – e dal ceto contadino, ancor più povero, l’altra.

Sto parlando di Albino mio compagno di giochi, geometra poi e “politico” nello stesso tempo, l’altro, Egidio, appena più giovane, la cui strada non si è mai incrociata con la mia, “aggiustatore meccanico” e poi imprenditore.

Hanno illustrato la loro vita, il loro lavoro, il mondo circostante, cioè Latronico e forse il Meridione, da ben diversi punti di vista. Probabilmente il loro scopo era soltanto ”raccontarsi”, ma il quadro che alla fine ne risulta è davvero intrigante.

Tenterò di parlarne dandoci un’occhiata da vicino.


[1] Etimologia ,Greco-Latina di vocabili dialettali nella zona di Latronico, di Antonio Rossi, in supplemento a “Basilicata regione Notizie 1/2002” http://www.old.consiglio.basilicata.it/pubblicazioni/rossi/Rossi.pdf

http://it.wikipedia.org/wiki/Dialetti_lucani

[2] La valle del Sinni è descritta mirabilmente da Elisa Conte nel suo “Episcopia, Cultura, arte e natura lungo il fiume Sinni”, Zaccara editore, 2012

Hai un po’ di colesterolo? Ti curo con il riso rosso. Peccato che non ha senso medico…(3° Articolo)

Posted on | luglio 15, 2012 | No Comments

(vedi 1° Articolo)

Intanto perché di colesterolo ne abbiamo tutti un bel po’ e meno male, perché senza di esso non potremmo vivere!

Indubbiamente qualche volta ne abbiamo più del dovuto e il di più, quello che non ci serve, non ci fa neanche bene.

Poi perché bisogna smettere di parlare del colesterolo come di un qualcosa che sia poco o tanto alto: bisogna parlare di DISLIPIDEMIA, vale a dire della condizione clinica patologica, talvolta una vera e propria malattia, che in quella persona si nasconde dietro “un po’ di colesterolo.

E’ di cruciale importanza comprendere a fondo questo punto che cercherò oggi di delucidare.

Ma che cosa è esattamente questo benedetto colesterolo di cui tanto si parla? Beh, lo trovate dappertutto in internet, ed anche nel mio blog. Quindi aggiungo solo due parole.

Per semplicità potremmo dire che il colesterolo fa parte dei GRASSI. Credo che sappiamo tutti che cosa siano i grassi: la nostra mente va immediatamente all’olio, al burro, al grasso del prosciutto, al lardo e, perché no, a quello che abbiamo addosso specie se di troppo.

I più informati penseranno ai grassi saturi che fanno male, a quelli insaturi che fanno bene, ecc., ed i raffinati ti diranno che ci sono i trigliceridi, il colesterolo buono, quello cattivo, ma anche le Apolipoproteine, la Lipoproteina a piccola, i chilomicroni, i fosfolipidi, gli acidi grassi, ecc.

I raffinatissimi diranno:”grassi? Puah, meglio chiamarli LIPIDI”, è più elegante e il colesterolo e le altre sostanze cha abbiamo elencato prima non sono altro che “frazioni”, particelle lipidiche che troviamo dappertutto nel nostro organismo, compreso il sangue, dove possono essere isolate e studiate con un semplice esame di laboratorio.

Vie metaboliche per la sintesi delle varie frazioni lipidicheNoi seguiremo i raffinatissimi e parleremo di lipidi: dunque questi sono negli alimenti, si trovano nel nostro organismo che è in grado di costruirli (VEDI FIGURA). Li troviamo nel sangue, li troviamo come componenti delle nostre cellule, degli ormoni, ecc.

Guai a non averli. Non vivremmo.

Il problema è che la quantità di lipidi che dobbiamo avere nell’organismo deve restare in certi limiti: se ne accumuliamo troppi, non va bene, diventeremmo obesi con relative conseguenze. Ma anche se ne accumuliamo pochi va maluccio: siamo allora senza o con poche riserve di energia, oltre a dover capire il perché ne abbiamo troppo poco.

I lipidi che circolano nel sangue devono restare in certi limiti anch’essi: quando una o più di tali sostanze – voglio dire di quelle sopra elencate e che entrano a far parte del gruppo “lipidi” – sono alterate allora parleremo di Dislipidemia, quindi di una modificazione patologica del nostro organismo.

A)   In che cosa può consistere tale alterazione?

B)   E perché dobbiamo preoccuparcene così tanto?

C)   Non possiamo prenderci una pastiglia e via senza porci tanti quesiti?

D)   In fondo non basta che in qualche modo mi curo, rifaccio gli esami e se nel referto di laboratorio non ci sono più “stelline” considerarmi a posto e soddisfatto?

Andiamo per ordine: se dire “un po’ di colesterolo” non va bene… richiedere “un po’ di pazienza”, e direi di attenzione, è proprio quello che ci vuole a questo punto!

Ed allora vi invito a tener per buono il concetto che il colesterolo è solo una delle tante frazioni dei LIPIDI e che se non è a posto ciò è espressione di una alterazione, chiamata Dislipidemia, talvolta anche severa.

Orbene, la dislipidemia può essere causata da vari fattori ed é evidente che se vogliamo far le cose per bene tali fattori debbono essere “accertati”, cioè individuati e definiti .

Come dire che bisogna capire:

  • quante e quali frazioni dei lipidi sono alterate, perché spesso non è modificata solo la “frazione colesterolo”, ma anche altre;
  • che se quindi prendessimo in considerazione solo questa faremmo, é evidente, un grave errore;
  • il perché abbiamo frazioni lipidiche alterate in circolazione, e quindi che cosa lo ha determinato;
  • l’entità della alterazione;
  • i rischi che tale modifica comporta;
  • e infine, solo dopo, se è conveniente fare una terapia e quale.

In conclusione, quello che sto cercando di illustrare è che dire: “hai un po’ di colesterolo e prenditi una pastiglietta o riso rosso o quel che sia e via” è una pericolosa banalizzazione di un problema medico che può invece essere serio e gravido di conseguenze negative a distanza.

  • (continua).
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